Le esportazioni italiane nel 2016 sono cresciute: lo rileva l’ISTAT, le cui stime parlano di un +1,2% nell’export nazionale, trainato soprattutto dal contributo delle regioni meridionali, in cui è stato rilevato un aumento dell’8,5%.
Ed è soprattutto il quarto trimestre del 2016 che ha fatto registrare, rispetto al trimestre precedente, un balzo in avanti in tutte le ripartizioni territoriali: 5,3% per l’Italia meridionale ed insulare, 4,2% per l’Italia centrale, 2,8 per le regioni nord- orientali e 1,6% per quelle nord-occidentali.
In questo scenario incoraggiante per l’Italia, si inserisce lo studio dell’Osservatorio Export della School of Management del Politecnico di Milano che , in occasione del convegno “Export digitale: una sfida, tante opportunità” , tenutosi nel capoluogo lombardo il 15 Marzo 2017, ha presentato i risultati 2016 sull’andamento dell’e-commerce cross-border italiano, offrendo una panoramica sui livelli di esportazioni on line, sul contesto macroeconomico e sulle opportunità da cogliere per tutti i retailer italiani che decidono di investire o già investono sulle esportazioni digitali.
Il primo dato che emerge dallo studio è che l’uso dell’ecommerce anche per la vendita all’estero dei propri prodotti ha raggiunto nel 2016 un valore di 7,5 miliardi di euro, con una crescita del 24% rispetto all’anno precedente. Si tratta comunque di una quota ancora marginale, di poco inferiore al 6% rispetto alle esportazioni totali di beni di consumo destinati al cliente finale. Vanno quindi analizzate le opportunità e le potenzialità di sviluppo che questo modello di export può avere sui mercati mondiali.
Export online diretto vs export online indiretto
Dalla ricerca emerge un divario significativo tra il valore dell’export on line diretto, gestito da un operatore italiano attraverso i siti di produttori, i portali dei retailer online o multicanale, o i marketplace “italiani” e quello indiretto che passa attraverso i siti di eCommerce dei grandi retailer online stranieri, dei grandi marketplace e dei siti di vendite private internazionali. Innanzitutto, nonostante nel 2016 ci sia stata una crescita notevole dell’export online indiretto (23% rispetto al 2015), questo vale solo 2 miliardi di euro, a fronte di quello indiretto che di contro genera 5,5 miliardi di euro di fatturato.
In entrambi i casi però il settore che si conferma il favorito per le esportazioni via eCommerce è quello del fashion che nel caso dell’export diretto raccoglie circa i due terzi del fatturato (65%), mentre nel caso di quello indiretto si assesta al 60%. Segue il settore del food (10% per export diretto e 21% per quello indiretto) che è quello che ha registrato il maggior tasso di crescita in un anno, e quello dell’arredamento e design (10% per export diretto e 13% per quello indiretto).
Vincono i grandi retailer
Per quanto riguarda i canali di vendita privilegiati, sia per l’export diretto che per quello indiretto la fanno da padroni i retailer online che generano il 58% del valore delle vendite e buon fetta del mercato nel caso nell’export diretto, abilitando circa la metà delle transazioni per quello indiretto. Si riscontra disparità invece per gli altri canali adottati maggiormente: mentre per l’export diretto il 26% è costituito da siti propri di aziende produttrici, nell’export indiretto invece sono i marketplace stranieri (il canale che è cresciuto maggiormente nel 2016) a pesare di più, il 40%, in misura di gran lunga superiore rispetto ai corrispettivi italiani, che si fermano al 16%.
Lo scenario macroeconomico
Va innanzitutto specificato che, essendo la domanda estera molto più dinamica di quella interna, l’export continua a rappresentare un importante volano per l’economia italiana: considerata la piccola dimensione del tessuto manifatturiero italiano, il numero di imprese esportatrici italiane, che si assesta a 210 mila, appare rilevante. Di queste, il 45,5% esporta meno del 10% del fatturato, solo il 10,3% esporta almeno il 75%, quindi l’intensità di export è debole, ma cresce la “propensione all’export”, cioè il rapporto tra valore complessivo delle esportazioni e Pil, che nel 2016 si attesta al 43% per i beni manufatti.
Dalla ricerca emerge che, su un campione di 100 aziende italiane esportatrici nei settori consumer, circa la metà sfrutta già, da non più di due anni, canali ecommerce per esportare i propri prodotti all’estero e un quarto ha iniziato da appena un anno. Ma il comportamento di queste aziende è variabile: solo il 5% esporta secondo una strategia dedicata solo al canale online, il 30% la adatta al paese di destinazione e il 15% adotta una strategia multicanale in tutti i paesi. Tra le aziende che ancora non esportano online, circa il 64% ha intenzione di farlo in futuro e la metà di queste di farlo entro i prossimi tre anni.
I mercati privilegiati
I principali mercati di sbocco sono ancora l’Europa con una predominanza dei paesi europei occidentali (in primis la Germania), ma si rafforzano le vendite on line anche verso alcuni mercati dell’Est Europa, tra cui Russia, e Polonia e gli Stati Uniti, dove l’e-commerce continua a crescere (il mercato americano delle vendite onlie B2c è cresciuto del 12% nel 2016). Tra i mercati più promettenti per l’export italiano ci sono la Cina, il paese che ad oggi conta il numero maggiore di utenti web al mondo e dove si registra un interesse crescente verso il settore del lusso ed i marchi del made in Italy, il Sud est asiatico , in cui il mercato digitale ha il più elevato tasso di crescita al mondo, ed il Medio Oriente, in cui è previsto per i prossimi anni il boom dell’e-commerce, ma è necessario individuare modelli di export dedicati per tipologia di paese e per settore. Infatti, come sottolinea Mangiaracina, Direttore dell’Osservatorio Export, per sbloccare il potenziale dei canali digitali, sono necessarie preparazione, competenze, propensione al cambiamento e adeguati investimenti.
Logistica al servizio dell’ecommerce
L’evoluzione del commercio elettronico, che necessita di un servizio di distribuzione più capillare ed efficiente per accedere ai mercati internazionali in modo efficace e veloce, sta alimentando in Italia grandi investimenti, sia in infrastrutture logistiche sia nel settore aeroportuale.
Compagnie del calibro di Fedex , che ha completato di recente la nuova base logistica nell’aeroporto di Malpensa, DHL che ha aperto nel 2016 un nuovo centro logistico a Quarto d’Altino (VE), conseguentemente al rilievo assunto dall’aeroporto Marco Polo di Venezia , Amazon che ha già investito nel nostro paese oltre 450 milioni di euro con la creazione di 2 mila posti di lavoro, ne sono una testimonianza. Così come l’attivazione commerciale del nuovo tunnel ferroviario del Gottardo testimonia che l’aumento del volume di traffico merci e la necessità di consegne più rapide richiede un’imminente “cura del ferro”, ovvero di trasferire il trasporto merci dalla strada alla rotaia. Il nuovo tunnel sarà la base per implementare il corridoio Genova – Rotterdam, agevolando la designazione di Genova come porto della Svizzera e di conseguenza aumentando la pressione competitiva dello scalo ligure verso i grandi scali marittimi del Nord Europa: Rotterdam ed Anversa. Al necessario conseguente potenziamento delle infrastrutture logistiche della “Regione Logistica Milanese”, contribuiranno FS Italiane e Hupac che hanno già previsto un programma di investimenti da oltre 200 milioni di euro per dotare il Nord Italia di terminal ferroviari tecnologicamente avanzati.